Genitori e figli: come imparare a prenderci cura di noi per prenderci cura dei nostri figli
I figli non ci devono bastare…
Non devono essere il nostro tutto…
Non ci deve bastare esistere per loro…
In una catena che non perdona e condanna all’infelicità tutti quanti…
Dobbiamo esistere oltre loro, perché c’eravamo prima e ci saremo dopo…
Parole forti, pesanti… e sono solo alcune delle frasi tratte dalla pagina facebook di ‘Pane e Pomodoro’.
Mi hanno colpito, particolarmente, mi hanno emozionato, mi hanno dato l’ispirazione per scrivere. Sarà forse perché questa è una realtà che nel mio lavoro incontro ogni giorno, sarà forse che sono sensibile all’argomento non solo come psicologa ma anche e soprattutto come mamma, sarà che quando si parla di figli si toccano sempre tasti molto delicati… In realtà non lo so di preciso, e forse non importa neanche saperlo. Voglio prendere spunto da questo per fare una riflessione proprio sull’educazione dei figli, chiaramente in termini emotivi e psicologici.
Cosa è un figlio? Perché lo mettiamo al mondo? E soprattutto quando decidiamo di volerlo?
Forse se lo chiedessimo ai neogenitori neanche saprebbero rispondere precisamente, se non per il grande desiderio materno/paterno finalmente realizzato e la chiusura di un cerchio… un desiderio che diventa realtà. A volte l’ingenuità aiuta, aiuta non pensare, aiuta buttarsi e vivere questa bellissima e unica esperienza. Eppure avere un figlio non è facile, avere un figlio mette alla prova, ci costringe a venire a patti con noi stessi e con parti di noi eventualmente non risolte, tira fuori il Bambino che è in noi, non sempre facile da gestire.
Ma quello che più mi ha colpito di questo post, ed è ciò che rappresenta il paradosso dell’educazione dei figli, è che il troppo amore verso di essi rappresenta un limite, se non addirittura un danno per loro e per noi genitori.
So che potrebbe sembrare assurdo; del resto, come si dice, ‘il troppo amore non ha mai danneggiato nessuno’… Ma è davvero così? No, non è così.
I figli nascono dai genitori, dal loro corpo; sono loro legati fisicamente e psicologicamente. Sono in totale fusione con essi. Alla nascita hanno bisogno tanto di cure fisiche quanto di ‘carezze psicologiche’. Il bambino, cioè, non solo deve essere allattato e nutrito, ma deve essere amato e protetto con calore e attenzione perché ciò non solo fa bene al suo corpo ma anche e soprattutto alla sua anima. Questo rapporto madre-figlio, stretto fino ad essere una vera e propria simbiosi, è necessario per un sano sviluppo psicofisico del figlio. La simbiosi è una fase normale dell’infanzia: il bambino piccolo crede che sua madre abbia i suoi stessi sentimenti e reagisce ai sentimenti di lei con una partecipazione totale. Una simbiosi naturale ha lo scopo di promuovere nel bambino, attraverso la fusione con sua madre, lo sviluppo di quelle capacità di spontaneità, consapevolezza e intimità che sono state definite da Berne ‘la salute mentale’ e che, a causa della sua età, non potrebbe da solo sviluppare. A due anni comincia a capire che lui e sua madre sono due entità separate. Se la simbiosi tra la madre e il bambino è una ‘sana simbiosi’, allora a questa seguirà la sua risoluzione grazie alla quale il bambino potrà crescere sano, maturo e indipendente.
Quando tutto ciò viene negato o ostacolato, le conseguenze per il figlio sono senza dubbio dannose.
In effetti, se le necessità infantili vengono, per qualche motivo, trascurate, allora il bambino crescendo può cercare per tutta la vita di far sì che tali necessità vengano soddisfatte, frenando in qualche modo il distacco dalla madre. E se ciò avviene, la simbiosi ‘patologica’ interferisce pesantemente con un positivo sviluppo mentale del bambino, rendendolo insicuro e incapace di gestire le difficoltà della vita.
Ma lo stesso effetto sui figli, purtroppo, si ha se esistiamo solo per loro…
‘I figli non devono nutrire il nostro Io… Non ci deve bastare esistere per loro. Se non vogliamo che scappino da noi. Prima possibile. Oppure che si confondano. E restino per sempre. Solo per noi’.
Molti genitori pensano erroneamente che vivere ‘per’ i figli sia per loro un bene: che la presenza costante nelle loro vite sia solo positiva. In realtà un atteggiamento del genere nei confronti dei figli impedisce, allo stesso modo dell’assenza di cure materne, una normale e sana evoluzione della simbiosi. Perché è come se il figlio, crescendo, percepisse e si convincesse di non essere mai abbastanza sicuro e forte da poter fare da solo, imparando a credere gradualmente nelle proprie capacità e potenzialità. Cresce invece con l’idea di avere sempre bisogno di qualcuno che possa prendersi cura di lui: prima perché convinto di essere ancora troppo piccolo; dopo perché si sentirà, molto probabilmente, un adulto non abbastanza maturo e indipendente.
Purtroppo, senza rendersene conto, questi genitori non fanno il bene dei loro figli; al contrario compensano delle loro mancanze attraverso i figli, in un atteggiamento apparentemente altruistico ma in realtà egoistico e psicologicamente dannoso per chi ha bisogno di libertà e fiducia per crescere.
Ma non solo: con questo atteggiamento di ‘vivere per i figli…’, i genitori tolgono qualcosa alla propria persona, anzi molto più di qualcosa. Non nutrono sufficientemente loro stessi, si negano quello che dovrebbero in realtà continuare a coltivare oltre i figli, dimenticando che così come erano persone prima dell’esperienza della genitorialità, allo stesso modo continuano ad esserlo durante essa e continueranno ad esserlo dopo.
Come in ogni cosa, il giusto equilibrio sta in mezzo, non negli estremi. Gli estremi in questo caso sono dannosi per i figli: tanto che vengano privati di amore, quanto che siano eccessivamente amati.
Voglio concludere riportando integralmente il testo da cui ho tratto ispirazione per scrivere: credo che valga la pena leggerlo per intero.
I figli non ci devono bastare.
Non devono tenere in piedi niente. O mettere a posto.
Non devono essere una scusa per rimanere. Un alibi per scappare.
Ricatto per amore. Che amore non è, ma solo ricatto.
Non devono essere i sogni che non abbiamo realizzato.
Quello che avremmo voluto.
Le aspettative aspettate.
Non devono essere le nostre stampelle.
I grazie che abbiamo bisogno di sentirci dire.
E nemmeno un bisogno.
Il bene che pensiamo di meritare.
Non devono essere un’illusione alla solitudine.
Nutrire il nostro io. Né distruggerlo.
I figli che bastano hanno un carico enorme sulle spalle. Quello di rendere felici.
Non devono essere il nostri tutto.
Non ci deve bastare esistere per loro. Se non vogliamo che scappino da noi. Prima possibile. Oppure che si confondano. E restino per sempre. Solo per noi.
Per strapparci un sorriso. Un riconoscimento del loro esserci.
In una catena che non perdona e condanna all’infelicità.
Tutti quanti.
I figli non devono bastare. Mai.
Dobbiamo esistere oltre loro. Perché c’eravamo anche prima e ci saremo dopo, quando seguiranno la loro strada. Che non è la nostra. Che troveranno solo se non ci saranno bastati. E se ci basteremo noi.