Cosa è esattamente la depressione? Come si può definire?
Il termine depressione, derivante dalla psichiatria e dalla psicologia, è ormai diventato di uso comune. E’ senza dubbio il più ‘abusato’ degli ultimi vent’anni, dal momento che attraverso di esso si indica tutta una serie di differenti stati d’umore. Laddove, infatti, non si riesce a diagnosticare con esattezza un disturbo, si tende erroneamente a parlare di depressione.
La depressione è, in senso letterale, un ‘avvallamento del terreno’ o una ‘diminuzione della pressione atmosferica’: qualcosa che va verso il basso a partire da uno stato precedente più o meno equilibrato. Riferito all’essere umano, il termine indica la rottura di un equilibrio mentale ed emotivo e una conseguente caduta dell’umore, un ‘avvallamento’ percepito come avvilimento. Kahlil Gibran scrive: ‘Ogni uomo è due uomini: l’uno è desto nelle tenebre, l’altro dorme nella luce’; e in effetti se si osservano i ‘depressi’ sembra di essere di fronte a persone che mostrano solo la ‘faccia oscura della luna’. Sembra di avere a che fare con pianeti dove non arriva il sole, dove continuano ad esistere i punti cardinali, ma senza il riferimento della luce e della vita.
Ma in realtà quanto davvero conosciamo della depressione e quanto sappiamo di coloro che ne soffrono?
Ciò che nel corso dei secoli ha caratterizzato l’approccio alla depressione, e in generale alla malattia mentale, è stata la ricerca della ‘causa originaria’, della ‘causa prima’. Di fronte all’incertezza della vita, all’impossibilità di poter controllare e conoscere tutto, la ricerca del ‘perché’ è sempre stata per l’uomo fonte di rassicurazione, un modo per placare l’angoscia derivante dall’ignoto. E in effetti, per quanto diversi tra loro, i vari approcci, da quello medico a quelli psicologici, hanno tutti in comune il fatto di pensare, e conseguentemente di curare, secondo il principio di ‘causa-effetto’. Ecco allora che gli psichiatri pongono l’accento sull’aspetto biologico del disturbo prescrivendo farmaci antidepressivi; l’approccio psicologico psicoanalitico ricerca le cause remote del problema, quelle legate alle prime esperienze di vita; oppure secondo la visione cognitivo-comportamentale sono le ‘idee irrazionali’ della persona che devono essere modificate, in modo che poi possano cambiare i comportamenti.
Di fronte a questa ricerca dei ‘motivi’ della depressione, il Centro di Terapia Strategica di Arezzo ha studiato il problema della depressione basandosi solamente su ciò che si osserva, sui meccanismi che mantengono e alimentano il problema, e su ciò che ‘funziona’ per far sì che la persona esca dal suo stato depressivo. Il tutto senza riferimento ad alcuna teoria ‘a priori’ che potesse fungere da riferimento, secondo il principio per cui: ‘sono le soluzioni che spiegano il problema, e non viceversa’.
In particolare, l’utilizzo, nella pratica clinica, di un metodo empirico-sperimentale ha mostrato come l’insorgere della depressione sia la conseguenza della reazione della persona a qualcosa che ‘si rompe’ nella sua vita, che si frantuma. Ma che cosa si rompe precisamente?
La depressione sembra costruirsi a partire da una ‘credenza’, cioè da un pensiero che la persona ha e che la guida nelle sue scelte e nelle sue azioni; credenza che con il tempo la persona asseconda facendola diventare la sua verità. Il fatto che qualcuno pensi di sé: ‘Io sono capace’ è un esempio di credenza originaria che permette di agire e comportarsi in un certo modo. Può succedere, però, che di fronte ad un evento inatteso, non contemplato, e per questo vissuto come traumatico, la credenza si incrini, si rompa: tutto ciò che fino a quel momento ha funzionato non funziona più, tutto ciò in cui la persona ha creduto crolla rovinosamente sotto la spinta dell’accidente non previsto. Ecco allora, per tornare al nostro esempio, che la credenza originaria ‘Io sono capace’ si infrange e diviene ‘Io non sono più come pensavo di essere’. Di fronte a tanto sgomento la persona ha due possibilità: può tentare di rimettere insieme i pezzi della propria credenza frantumata; oppure può, affranta, contemplarli nella quasi totale certezza che non potranno più essere ricomposti. Ormai ‘rinuncia’ a ricostruire la sua credenza; in altre parole, ‘getta la spugna’. Ma, così facendo, finisce per porsi nel ruolo di vittima, nel ruolo di chi impotente subisce la realtà circostante. A questo punto la persona è caduta nel vortice infernale della depressione e la sua nuova credenza è: ‘Non sono in grado, quindi rinuncio, quindi sono vittima’.
Il depresso può rinunciare e porsi nel ruolo di vittima in diversi modi: può rinunciare delegando e diventando vittima di sé – ‘io sono sbagliato perché io sono incapace’ –; può rinunciare arrendendosi e diventando vittima degli altri – ‘credevo negli altri… e invece gli altri, ad un certo punto, mi hanno deluso’ –; può rinunciare pretendendo e diventando vittima del mondo – ‘io ho dei principi, ma il mondo non funziona secondo quei principi; è il mondo, sono gli altri che devono cambiare ’ –.
Ma, al di là delle differenze mostrate nelle modalità di reazione alla rottura delle credenze originarie, è importante sapere che è possibile uscire dalla depressione e che è possibile farlo in tempi brevi.
Questo grazie alla ventennale esperienza clinica e alla continua ricerca condotta presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, dove sono stati messi a punto specifici protocolli di trattamento per i disturbi depressivi. Si tratta di protocolli che richiedono in genere il coinvolgimento dei familiari del paziente. Questo perché molto spesso, per quanto i familiari agiscano per il bene del proprio caro, cercando ad esempio di consolarlo o viceversa di spronarlo a reagire – atteggiamenti fra l’altro del tutto naturali –, non si rendono conto che invece, così facendo, finiscono, purtroppo, per alimentare il problema del familiare. Ecco perché oltre al paziente, l’intera famiglia necessita di essere aiutata; se c’è collaborazione, in breve tempo, l’oscurità delle tenebre potrà essere spazzata via da raggi di luce abbaglianti.
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